Articolo

I dati raccolti in sede di controllo sulla chat aziendale usata per comunicazioni interne tra dipendenti sono inutilizzabili senza un’adeguata informativa.

Corte di Cassazione, sentenza 25731 del 2021.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una società avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, che aveva respinto il reclamo e confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio con la quale era stato annullato il licenziamento intimato per giusta causa dalla società ad una lavoratrice e disposta la reintegrazione.

La Corte di Appello aveva accertato l’esistenza di una corrispondenza sulla chat aziendale tra la lavoratrice ed un’altra collega avente contenuto pesantemente offensivo nei confronti di una superiore gerarchica e di qualche altra collega. La Corte di Appello aveva sottolineato che i messaggi inviati sulla chat costituivano corrispondenza privata svolta in via riservata rispetto alla quale si impone una tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni, con la conseguenza che l’accesso al contenuto delle comunicazioni è precluso agli estranei e non ne è consentita la rivelazione ed utilizzazione. Per la Corte di Appello, inoltre, era da escludersi un intento denigratorio poiché il contenuto dei messaggi di posta elettronica e le espressioni in esse utilizzate costituivano uno sfogo della mittente, destinato ad essere letto dalla sola destinataria, privo del carattere di illiceità ed espressione della libera manifestazione del pensiero in una conversazione privata.

Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione la società, denunciando che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che le conversazioni offensive intrattenute nella chat aziendale non potessero essere utilizzate a fini disciplinari. Secondo la società, quindi, sarebbero stati legittimi l’esercizio del potere disciplinare ed il licenziamento.

La Corte di Cassazione ha preliminarmente osservato che è pacifica la qualificazione come strumento di lavoro della chat aziendale, essendo essa funzionale alla prestazione lavorativa. In questi casi, dunque, la disciplina vigente prevede che l’utilizzabilità del risultato dei controlli effettuati per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, compresi quindi quelli disciplinari, sia subordinata, alla condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli.

Per la Suprema Corte, tuttavia, era già emerso dalla sentenza impugnata che era mancata l’adeguata informazione preventiva del lavoratore. La Corte di Appello, quindi, ha correttamente escluso l’utilizzabilità dei dati raccolti, con la conseguenza del venir meno dell’intera base fattuale della contestazione disciplinare.

24 novembre 2021

Condividi questo articolo: