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Gli indicatori di benessere e malessere organizzativo.

contributo a cura di Lucia Di Bello

Dottoressa in Psicologia delle organizzazioni e dei servizi ed avvocato.

Negli ultimi anni il mondo del lavoro è profondamente mutato, è cresciuto il benessere economico ma sono aumentate le condizioni di disagio e di malessere in coloro che lavorano in alcuni contesti. In questo quadro si profilano nuovi rischi quali la ridotta stabilità del lavoro, le ristrutturazioni organizzative, le nuove tecnologie e l’integrazione tra qualità di lavoro e qualità della vita. Sulla base di queste considerazioni si è provveduto a definire il benessere organizzativo, ovvero il primo elemento che influenza efficacia, efficienza, produttività e sviluppo di un contesto lavorativo come “la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione”. Il concetto di benessere organizzativo si riferisce, quindi, al modo in cui le persone vivono la relazione con l’organizzazione in cui lavorano: più una persona sente di appartenere ad essa perché ne condivide i valori, le pratiche e i linguaggi, più trova motivazione e significato nel suo lavoro.

Tale concetto si esplica in quelle che sono state denominate dimensioni del benessere organizzativo, pertanto, un’organizzazione può considerarsi sana se:

Allestisce un ambiente di lavoro salubre, confortevole e accogliente, ovvero un ambiente che garantisca le fondamentali regole di igiene, funzionalità, gradevolezza estetica e cura;

Pone obiettivi espliciti e chiari, il riferimento è in tal caso allo stile direzionale che deve essere caratterizzato da modalità di comunicazione non ambigue;

Riconosce e valorizza le competenze e gli apporti dei dipendenti e stimola nuove potenzialità, è fondamentale, infatti, riconoscere le caratteristiche individuali e le diversità degli apporti ponendo al singolo richieste congrue rispetto alle sue competenze e alle sue qualifiche, promuovere reciprocità negli scambi attraverso aggiornamenti e condivisione delle conoscenze, attribuire un corrispettivo in termini economici o di visibilità sociale in cambio di ciò che si riceve;

Ascolta le istanze dei dipendenti, nel senso che le proposte e le richieste formulate dagli stessi devono essere considerate come elementi che contribuiscano al miglioramento dei processi organizzativi e dei principali processi decisionali;

Mette a disposizione le informazioni pertinenti al lavoro, ossia tutto ciò che si fa e che succede deve essere diffuso e accessibile agli altri;

Adotta tutte le azioni per prevenire gli infortuni e i rischi professionali, si fa riferimento in tal caso alla necessità di rispettare la normativa in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori;

Stimola un ambiente relazionale franco, comunicativo e collaborativo, nel senso che assicura rapidità di decisione, scorrevolezza operativa, supporto al raggiungimento degli obiettivi comuni, equità di trattamento a livello retributivo e di promozione del personale;

Stimola nei dipendenti il senso di utilità sociale, contribuendo a dare senso alla giornata lavorativa dei singoli e al loro sentimento di perseguimento degli obiettivi comuni;

È aperta all’ambiente esterno e all’innovazione tecnologica e culturale, ovvero si dimostra flessibile, disposta al cambiamento e considera il mondo esterno come una risorsa per il proprio miglioramento.

Le suddette dimensioni di benessere organizzativo hanno portato, conseguentemente, alla costruzione dei seguenti indicatori di benessere rilevabili a livello individuale:

Soddisfazione per l’organizzazione (gradimento per l’appartenenza ad un’organizzazione ritenuta di valore);

Voglia di impegnarsi per l’organizzazione (desiderio di lavorare per l’organizzazione, anche oltre il richiesto);

Sensazione di far parte di un team (percezione di puntare, uniti, verso un obiettivo e percezione di una coesione emotiva nel gruppo);

Voglia di andare al lavoro (quotidiano piacere nel recarsi al lavoro);

Elevato coinvolgimento (sensazione che, lavorando per l’organizzazione, siano soddisfatti anche i bisogni personali);

Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali (fiducia nella possibilità che l’organizzazione abbia la capacità di superare gli aspetti negativi esterni);

Percezione di successo dell’organizzazione (rappresentazione della propria organizzazione come vincente);

Rapporto tra vita lavorativa e vita privata (percezione di un giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero);

Relazioni interpersonali (soddisfazione per le relazioni interpersonali costruite sul posto di lavoro);

Valori organizzativi (condivisione dell’operato e dei valori espressi dall’organizzazione);

Immagine del management (fiducia nelle capacità gestionali e professionali della dirigenza e apprezzamento delle qualità umane e morali della stessa).

Occorre, infine, fare riferimento anche agli indicatori di malessere, ovvero a tutte quelle caratteristiche la cui presenza indica che l’organizzazione avrebbe bisogno di un piano di intervento per potenziarne il benessere. Essi sono:

Insofferenza nell’andare al lavoro (esistenza di una difficoltà quotidiana nel recarsi al lavoro);

Assenteismo (assenze dal luogo di lavoro per periodi più o meno prolungati e comunque sistematici);

Disinteresse per il lavoro (scarsa motivazione che può o meno esprimersi anche attraverso un comportamento di mancato rispetto delle regole e delle procedure);

Desiderio di cambiare lavoro (desiderio chiaramente collegato all’insoddisfazione per il contesto lavorativo e/o professionale in cui si è inseriti);

Alto livello di pettegolezzo (il pettegolezzo raggiunge livelli eccessivi, rendendolo quasi un sostituto dell’attività lavorativa);

Risentimento verso l’organizzazione (il dipendente prova rancore/rabbia nei confronti della propria organizzazione fino ad esprimere un desiderio di rivalsa);

Aggressività non abituale e nervosismo (espressione di aggressività, anche solo verbale, eccedente rispetto all’abituale comportamento della persona che può manifestarsi anche al di fuori dell’ambito lavorativo);

Disturbi psicosomatici (classici disturbi dell’area psicosomatica come insonnia, difficoltà digestive ecc.);

Sentimento di inutilità (la persona percepisce la propria attività come vana e non valorizzata);

Sentimento di irrilevanza (la persona percepisce sé stessa come poco importante e non determinante per lo svolgimento della vita lavorativa dell’organizzazione);

Sentimento di disconoscimento (la persona non sente adeguatamente riconosciuti né le proprie capacità né il proprio lavoro);

Lentezza nella performance (i tempi per portare a termine i compiti lavorativi si dilatano con o senza auto-percezione del fenomeno);

Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti ecc. (il dipendente non ha chiaro “chi fa cosa”);

Venir meno della propositività a livello cognitivo (è assente sia la disponibilità ad assumere iniziative che il desiderio di sviluppo delle proprie conoscenze professionali);

Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa (pur svolgendo i propri compiti attenendosi alle regole e alle procedure dell’organizzazione, il dipendente non partecipa emotivamente ed esse).

Riferimenti bibliografici

Avallone – Bonaretti, Benessere organizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, Rubbettino Editore, 2003.

Minelli – Morucci – Dominijanni – Cocchi, Il benessere organizzativo: valore sociale da perseguire e difendere anche in sanità, 2009.

26 febbraio 2018

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