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Gli effetti del disagio lavorativo.

Gli effetti del disagio lavorativo.
Intervento a cura di Giovanni Nolfe (Responsabile Struttura Centrale Psicoptologia da Mobbing e Disadattamento Lavorativo ASL Napoli 1 Centro di Riferimento Regione Campania).


Gli effetti del disagio lavorativo, che va dalle forme di discriminazione individuale (che definiamo “mobbing” o bullying at workplace”) fino alle organizzazioni di lavoro patologiche che costruiscono condizioni di stress e ingiustizia, sono molteplici.
Essi vertono intorno a tre ambiti fondamentali: quello sanitario, quello economico e quello sociale.
Proverò brevemente a descrivere il contenuto di ciascuno di questi tre ambiti.
1) Gli effetti sulla salute
Sono innumerevoli i dati della letteratura internazionale (e quelli che “sul campo” verifichiamo noi stessi nel nostro territorio) sui danni che il disagio lavorativo induce in termini di salute fisica e psicologica. La maggiore incidenza delle patologie somatiche riguarda soprattutto lo sviluppo di malattie metaboliche,  disturbi cardio-vascolari (un recente studio francese della Sultan-Taïeb  ha dimostrato come almeno il 9% delle patologie coronariche, e l’11% di quelle ad esito letale, abbiano una eziologia lavorativa), malattie muscolo-scheletriche,  sindromi neurologiche (con la recente individuazione di danni cerebrali strutturali indotti dallo stress lavoro-correlato e dal mobbing), problem immunitari, sviluppo di dipendenze da alcol o altre tossicofilie, ecc.
Sul piano psicologico, la psicopatologia del lavoro ha messo in evidenza come le sindromi depressive, i disturbi dello spettro ansioso, le patologie da stress e da trauma, costituiscano quelle che maggiormante si associano al mobbing e al disagio lavorativo. Nei nostri studi epidemiologici (come Centro di Riferimento della regione Campania) abbiamo osservato come sia soprattutto la depressione maggiore, il disturbo psichiatrico che dimostra un collegamento patogenetico più stretto con la sofferenza lavorativa. Questa condizione di sofferenza realizza, infatti, molto spesso, sul piano individuale una esperienza del lutto e della perdita (del proprio ruolo esistenziale e sociale). Non è un caso, quidi, che sia proprio la depressione la condizione clinica che si associa a questi fenomeni
2) I danni economici
Si sente spesso dire che in un periodo, come quello attuale, di crisi economica, di recessione, di incremento dei tassi di disoccupazione, parlare delle condizioni di lavoro, dello stress lavoro-correlato e delle vessazioni psicologiche sia un lusso che non ci si può permettere.
In realtà i numeri dicono esattamente il contrario.
Già nel 2002 il costo economico dello stress lavoro-correlato in Europa è stato calcolato nell’ordine dei 20 bilioni di euro (European Commission. Guidance on work‐related stress: spice of life or kiss of death. European Communities, Luxembourg, European Communities, 2002). Studi più recenti hanno valutato l’impatto economico  in un range che va dalla perdita di circa l’1% del Prodotto Interno Lordo della Gran Bretagna al quasi 3% dell’Olanda (European Agency for Safety and Health at Work (EASHW), 2009 e 2014). Appare evidente, anche da una analisi sommaria di queste cifre, quanto esse assorbano una quota enorme delle risorse economiche della collettività. Allo stesso modo, è stato dimostrato quanto i risultati dei programmi di intervento per la prevenzione dei disturbi psichiatrici (principalmente depressivi) negli ambienti di lavoro nella Comunità Europea abbiano determinato un risparmio, per ciascun euro investito, di una cifra compresa tra 0.81 e 13.62 euro (EU Health Programme 2008-2013. Executive Agency for Health and Consumers).
Sono numerosi gli elementi che sono alla base di questi costi economici: riduzione della produttività, incremento dell’assenteismo, diffusione sempre maggiore del fenomeno del presenteismo (la presenza al lavoro in condizioni di salute non idonee), aumento degli incidenti sul lavoro, assenza dal lavoro per patologie e maggiore incidenza della disabilità o del precoce abbandono del lavoro attivo produttivo, incremento delle spese di formazione di nuove unità produttive per le aziende, accrescimento dei costi sanitari con  l’ampliamento della spesa farmaceutica e dei ricoveri ospedalieri o delle cure ambulatoriali, costi connessi ai contenziosi legali. Un complesso di fattori che ci permette di dire che è forse proprio nelle fasi di debolezza economica che lo studio e la prevenzione di questi fenomeni sia necessaria.
3) I costi sociali
Nel 2015 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici abbiamo organizzato un convegno dal titolo Il Disagio Lavorativo: Etica, Clinica e Giurisprudenza, in cui fu messo in evidenza, tra gli altri, proprio l’effetto che questi fenomeni hanno sul tessuto sociale. In quella occasione fu utilizzato il termine di “depression sociale” che ad essi si associava. È noto a tutti quanto sia grave il rischio del suicidio lavoro-correlato, quanto grave sia il rischio degli incidenti (anche mortali) sui luoghi di lavoro in cui più marcato è lo stress e l’overload lavorativo, come siano frequenti i gravi problemi relazionali, familiari ed esistenziali per i soggetti che soffrono della vessazione, della discriminazione e della violenza psicologica nei luoghi di lavoro. Da più parti, e con diverso stile e pregnanza, si fa riferimento alla “depressione” che si è annidata nel nostro paese come uno degli ostacoli più rilevanti alla sua crescita: ma come è possibile alimentare la speranza, soprattutto per i più giovani, quando i temi della sicurezza del lavoro, della sua stabilità, della ricerca di relazioni funzionali e improntate alla giustizia organizzativa, sono così frequentemente elusi e disattesi? Quale ottimismo è possibile in assenza di futuro?
 

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