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Ferie non godute da dirigenti medici: esclusione dell'indennizzo e principio di irrinunciabilità delle ferie.

Corte di Cassazione, sentenza 6493 del 2021.

Una dottoressa, dirigente medico di primo livello in servizio presso l'Istituto Nazionale dei Tumori, convenne in giudizio l'Istituto e perché venisse accertata e dichiarata l'illegittimità della soppressione delle ferie dalla stessa maturate disposta unilateralmente con provvedimento con condanna della Fondazione a ricostituire il monte ferie ovvero in subordine a corrisponderle l'indennità sostitutiva risarcendola del danno subito.

Il Tribunale accoglieva le domande e dichiarava il diritto della dottoressa a vedersi ricostituito il monte ferie come richiesto.

La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava il ricorso. Il giudice di appello osservava che non era invocabile la tutela comunitaria delle ferie annuali atteso che l'ambito di applicazione della direttiva 2033/88 era solo il periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane, che era stato pacificamente goduto dall’interessata. La Corte di Appello riteneva che legittimamente la contrattazione collettiva, nel prevedere una più ampia durata del riposo annuale, ne aveva subordinato il godimento a ulteriori requisiti e condizioni. Evidenziava che nella specie la disposizione collettiva (l'articolo 21 del Ccnl), pur ribadendo il principio dell'irrinunciabilità delle ferie, che non possono essere monetizzate, aveva tuttavia previsto che le stesse debbano essere programmate in modo da poter essere esaurite nel corso dell'anno ovvero, nel caso in cui ciò non risulti possibile per esigenze di servizio indifferibili, entro il primo semestre dell'anno successivo e che solo in caso di malattia o infortunio sarebbe stato possibile derogare a tale regola. Sottolineava che l'indennità sostitutiva spettava poi laddove la mancata fruizione fosse dipesa da cause di servizio o comunque da ragioni indipendenti dalla volontà del lavoratore evidenziando che, comunque, questa poteva essere erogata solo all'atto della cessazione del rapporto. La Corte di Appello riteneva che la dottoressa non avesse dimostrato i fatti costitutivi della domanda; che non avesse provato di aver domandato le ferie.

La dottoressa ha proposto ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha rilevato che  l'articolo 21 del Ccnl 4 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria (che dispone il pagamento delle ferie nel solo caso in cui, all'atto della cessazione del rapporto, risultino non fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente) va interpretato in modo conforme al principio di irrinunciabilità delle ferie, di cui all'articolo 36 della Costituzione, di guisa che si applica solo nei confronti dei dirigenti titolari del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenze da parte del datore di lavoro e non anche nei confronti dei dirigenti privi di tale potere.

L’interessata, medico inquadrata come dirigente di primo livello, è in posizione sott'ordinata a quella dei dirigenti di secondo livello e alla direzione sanitaria responsabile della conduzione della struttura ospedaliera. Pertanto, la dottoressa non aveva il potere di programmarsi le ferie e di auto attribuirsene il godimento.

All’interessata non si applica il principio secondo cui il dirigente che sia titolare del potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, ove non eserciti detto potere e non fruisca, quindi, del periodo di riposo, non ha il diritto all'indennità sostitutiva, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive, ostative alla suddetta fruizione.

29 settembre 2021

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