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Esposizione del lavoratore al rischio amianto: il Giudice deve valutare tutti gli elementi probatori. Vittoria in Corte di Appello per lo Studio Legale Carozza.

Corte di Appello di Napoli, sentenza 619 del 2020.

Con ricorso innanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, un dipendente di una società di manutenzione ferroviaria esponeva di essere stato esposto all’amianto per un periodo superiore a 10 anni e di aver chiesto inutilmente all’INPS il riconoscimento dei benefici pensionistici previsti dall’articolo 13 della legge 257/1992.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda e condannava l’INPS al riconoscimento della prestazione previdenziale.

La Corte di Appello, invece, su ricorso dell’INPS, rigettava la domanda, ritenendo non dimostrato il superamento dei valori soglia limite di esposizione all’amianto. La Corte di Appello riteneva che la mancanza della certificazione INAIL e l’assenza di misurazioni specifiche circa i livelli di amianto riscontrabili nell’ambiente di lavoro non consentivano di ritenere provata l’esposizione qualificata.

 La Corte di Cassazione, all'opposto, accoglieva il ricorso del lavoratore sottolineando che, in mancanza di certificazione dell’INAIL, spetta al giudice di merito accertare la esposizione del lavoratore al rischio qualificato ultradecennale, valutando gli elementi probatori in suo possesso ivi compresi gli atti di indirizzo del Ministero del lavoro, i quali hanno una valenza presuntiva ai fini della prova dell’esposizione qualificata. La Suprema Corte, quindi, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di Appello.

La Corte di Appello, investita con ricorso in riassunzione, ha rigettato il gravame dell’INPS ed ha confermato il diritto del lavoratore.

L’articolo 13 della legge 257/1992 ha previsto che per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all’amianto è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,50.

Il beneficio previdenziale può essere riconosciuto, in presenza di una esposizione ultradecennale all’amianto, a prescindere dal settore di appartenenza dell’impresa datrice di lavoro e dal tipo di attività lavorativa svolta dal richiedente. Un limite soggettivo è, invece, costituito dalla condizione che al momento dell’entrata in vigore della già menzionata normativa il lavoratore fosse ancora in servizio. Non è, invece, necessario che il lavoratore sia addetto a lavorazioni per le quali sussiste l’obbligo per il datore di lavoro di versare il premio supplementare per l’asbestosi.

L’insorgenza delle patologie connesse all’esposizione all’asbesto è caratterizzata da un lungo intervallo di tempo tra l'inizio dell'esposizione ed il manifestarsi delle patologie. Il rischio per la salute è direttamente legato alla quantità ed al tipo di fibre inalate, alla loro stabilità chimica, ed alla predisposizione personale. Il rischio è maggiore a seconda del numero di fibre di asbesto disperse nell’aria e dalla loro grandezza. Il Decreto legislativo 277/1997 ha previsto come valore limite l’esposizione superiore a 0,1 fibre per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore.

La finalità dell’istituto deve essere rinvenuta nell’esigenza di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno dieci anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che presentano potenzialità morbigene. Il concetto di esposizione ultradecennale viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio morbigeno rispetto alle patologie che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione. L’esistenza di un rischio per la salute costituisce, quindi, l’elemento qualificante dell’esposizione all’amianto ai fini del riconoscimento del trattamento previdenziale. La Legge 257/92 specifica quale sia, nei luoghi di lavoro, la concentrazione di fibre di amianto respirabili e, quindi, il livello di esposizione che legalmente è considerato innocuo. Occorre che il lavoratore abbia subito una esposizione qualificata ultradecennale all'azione morbigena delle fibre di amianto, dovendo essere accertata la presenza nell'ambiente di lavoro di una dispersione di fibre di amianto in concentrazione superiore ai valori determinati.

Il compito di accertare le lavorazioni a rischio amianto e la durata dell’esposizione è stato affidato all'INAIL, cui è stato demandato anche il compito di rilasciare l'attestazione dei periodi di esposizione. In ogni caso, ricade sul lavoratore l’onere probatorio di dimostrare, in ogni modo, l’esistenza del requisito dell’esposizione all’amianto richiesta dalla legge.

Nel caso affrontato, il lavoratore, con il ricorso introduttivo, precisava di aver svolto mansioni di addetto alla riparazione e ristrutturazione dei rotabili ferroviari dal 1981 al 1994. A partire dal 1994, l’interessato aveva acquisito la qualifica impiegatizia di preventivista; per lo svolgimento di tale attività saliva quotidianamente sulle locomotive al fine di controllare l’asportazione di materiale di amianto e per operare il relativo collaudo, sempre costantemente esposto all’amianto.

Il lavoratore ha prodotto un atto di indirizzo del Ministero e la consulenza tecnica disposta in altro giudizio ed avente ad oggetto la stessa officina a cui era addetto, con la quale si è accertata la sussistenza nell’ambiente di lavoro di una quantità di fibre di amianto aerodisperse superiore al valore soglia. Il CTU aveva anche evidenziato che a fronte di tale uso massiccio di amianto, le precauzioni utilizzate erano minime. Il consulente, quindi, ha formulato un giudizio di pericolosità dell’ambiente con un rilevante grado di probabilità circa il superamento della soglia massima di tollerabilità.

Per entrambi i periodi le modalità di svolgimento delle mansioni lavorative, il lavoratore è stato esposto alle fibre di amianto presenti nel suo ambiente lavorativo quotidiano in misura superiore al valore soglia fissato. L’interessato ha, quindi, effettivamente subito una esposizione qualificata all’amianto per il periodo indicato.

3 settembre 2021

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