DISAGIO LAVORATIVO: danni psicofisici da stress.
Per la Commissione Europea Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali (1999) lo stress legato all'attività lavorativa viene definito come “la reazione emotiva, cognitiva, comportamentale e fisiologica ad aspetti avversi e nocivi del contenuto, dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro. È uno stato caratterizzato da livelli elevati di eccitazione e ansia, spesso accompagnati da senso di inadeguatezza.”
L’ottica olistica di questa definizione sottolinea che lo stress lede l’individuo su tutti e quattro i suoi piani e ci permette anche di dedurre che lo stesso può colpire qualsiasi luogo di lavoro e lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività, dal livello gerarchico o dalla tipologia del rapporto di lavoro.
Di recente anche l’ambito di indagine sulla sindrome da burnout si è esteso, sino a comprendere contesti organizzativi più differenziati, per cui non solo chi lavora nell’ambito socio-sanitario, ma anche chi è a contatto con colleghi, utenza in generale.
Secondo le cifre fornite dall’Agenzia per la sicurezza e salute del lavoro, le vittime dello stress da lavoro in Europa sarebbero circa 40 milioni; esse sono colpite da malattie professionali, quali disturbi gastrointestinali e cardiovascolari, affaticamenti e depressioni. I costi per la collettività sono altissimi in termini di giorni lavorativi perduti ogni anno (il 50-60%), pari a circa 20 miliardi di euro.
In generale, lo stress non è una patologia, piuttosto una condizione di prolungata tensione che può ridurre l’efficienza e determinare un cattivo stato di salute. In altre parole, non è necessariamente patologico, ma lo può diventare (stress cronico) quando la stimolazione dura nel tempo ed ha una certa intensità. Nell’ambito lavorativo, è la risultante di una interazione complessa e dinamica tra il lavoratore e le condizioni di lavoro; in questo senso sono comprese sia le caratteristiche individuali e le capacità nel lavoro degli impiegati, sia la gradevolezza dell’ambiente di lavoro e degli strumenti, giocando un ruolo nella salute psico-fisica delle persone e nella quantità/qualità delle loro prestazioni.
Semplificando potremmo dire che, lo stress lavorativo si manifesta quando le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste avanzate nei loro confronti e le risorse a loro disposizione per far fronte a tali richieste.
Le malattie di origine lavorativa possono manifestarsi con una vasta sintomatologia: difficoltà di concentrazione, apatia, diminuzione della motivazione, tensione e irritabilità, alterazione dell’umore e depressione; ma sono anche presenti comportamenti dannosi per la propria salute direttamente imputabili allo stress da lavoro, quali tabagismo, alcolismo, dipendenza da farmaci o droghe, maggiore assunzione di cibo, maggiore incidentalità lavorativa stradale, comportamenti antisociali; e infine danni a livello biologico quali: disturbi cardiovascolari con accelerazione del battito cardiaco, respiratori (aumento della frequenza respiratoria), gastrointestinali, muscolo-scheletrici e anche disturbi dermatologici, dell’apparato genitale, della sfera sessuale e a livello del sistema immunitario.
Le ricerche condotte (French e Caplan, 1970; Buck, 1972; Margolis et al., 1974; Spector, 1986) evidenziano che una carenza di controllo sul lavoro o una partecipazione ridotta al processo decisionale, determinano esperienze di stress e disturbi ansiosi e depressivi (Ganster e Fusilier, 1989; Sauter et al., 1989; Karasek e Theorell, 1990); è dimostrato quindi il ruolo determinante dell’autonomia decisionale.
Altri fattori determinanti sono le relazioni interpersonali sul lavoro, infatti il gruppo formato dai colleghi di lavoro costituisce una delle reti sociali più importanti della vita adulta e la scarsa qualità di queste relazioni depriva la persona di un importante fattore antistress. Dunque, se la qualità dei rapporti interpersonali svolge un importante ruolo di mediazione riducendo le tensioni, un deterioramento di queste dinamiche o una relazionale nociva basata su un appoggio interpersonale scadente, amplifica gli effetti negativi delle condizioni di lavoro (Davidson e Cooper, 1981; Pearse, 1977).
In un siffatto caleidoscopio di cause e conseguenze appare fondamentale la presa di consapevolezza delle aziende che devono essere sempre più “educate” alla conoscenza, al riconoscimento ed alla prevenzione di tutti quei fattori di rischi sopra evidenziati che non sono, nella maggior parte dei casi, difficoltà insormontabili, ma delle vere e proprie opportunità per le stesse. Urge una nuova mentalità imprenditoriale che predisponga, laddove fosse necessario, di attivare percorsi di cambiamento radicali affinché il benessere dell’azienda coincida con il benessere dei suoi lavoratori.
13 gennaio 2017
dott.ssa De Micco Marilena Psicologa e Psicoterapeuta