Diritto del lavoratore alla contribuzione previdenziale: per la condanna del datore di lavoro al versamento è necessaria la partecipazione al giudizio dell’ente previdenziale.
Corte di Cassazione, sentenza 19398 del 2014.
Una lavoratrice proponeva ricorso nei confronti dei medici titolari dello studio odontoiatrico presso cui aveva lavorato per circa dieci anni per il pagamento delle differenze di retribuzione e dei contributi previdenziali omessi.
La Corte d'appello di Catanzaro, in riforma sul punto della sentenza di primo grado, condannava i medici al pagamento del contributi previdenziali per ciascuno dei periodi per i quali erano stati, in momenti diversi e consecutivi, datori di lavoro della lavoratrice.
L'ente previdenziale, tuttavia, non era parte in causa nel giudizio in questione.
Della controversia veniva investita la Corte di Cassazione.
I contributi sono dovuti dal datore di lavoro in ragione della sussistenza del rapporto lavorativo; tuttavia è esclusa una pronuncia di pagamento in favore del lavoratore (che ha invece diritto, ove ne siano maturati i presupposti, alla costituzione della rendita ai sensi dell’articolo 13 della della legge 1338/1962 o all'azione di risarcimento danni ai sensi dell’articolo 2116 del codice civile.).
E’ indubitabile l'interesse del lavoratore al versamento dei contributi, dalla legge protetto come diritto soggettivo alla posizione assicurativa, benché non s'identifichi con il diritto spettante all'Istituto previdenziale, né si configuri come una posizione di contitolarità in tale diritto e ancor meno di solidarietà attiva; detto interesse del lavoratore è connesso con il diritto di credito dell'istituto, sia geneticamente, perché nasce dal medesimo fatto che a quello da origine (la costituzione del rapporto di lavoro), sia funzionalmente, perché l'adempimento del debito contributivo realizza anche la soddisfazione del diritto alla posizione assicurativa.
In proposito, si è anche affermato il diritto del lavoratore alla regolarizzazione contributiva, stabilendosi, per il caso di sua violazione, che, ove il lavoratore abbia dato comunicazione dell'omissione contributiva del datore di lavoro al competente ente previdenziale e quest'ultimo non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi, lo stesso ente, in quanto obbligato, nell'ambito del rapporto giuridico con l'interessato, alla diligente riscossione di un credito che, ancorché proprio, vale a soddisfare il diritto costituzionalmente protetto del lavoratore, è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, ove a quest'ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita o all'azione di risarcimento danni.
La sussistenza del suddetto interesse del lavoratore, ed il riconoscimento di una sua tutelabilità mediante la regolarizzazione della posizione contributiva, danno ragione del riconoscimento da parte dell'ordinamento della facoltà del lavoratore di chiamare in causa il datore di lavoro e l'ente previdenziale, convenendoli entrambi in giudizio, al fine di accertare l'obbligo contributivo del primo e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente) nei confronti del secondo, a valere sulla sua posizione contributiva, impedendo il verificarsi di un danno nei suoi confronti (e nei limiti in cui a ciò il lavoratore vi abbia interesse, come avviene quando non operi in suo favore, o c'è il rischio che possa non operare, per qualsiasi ragione, il principio di automaticità delle prestazioni).
Resta per converso esclusa per ragioni processuali la possibilità per il lavoratore di agire per ottenere una condanna del datore al pagamento dei contributi nei confronti dell'INPS che non sia stato chiamato in causa, stante la generale esclusione dei provvedimenti nei confronti di terzo ed il carattere eccezionale della condanna a favore di terzo. Infatti, di regola il processo deve svolgersi tra tutti coloro che sono parti del rapporto sostanziale dedotto, i quali hanno diritto ad interloquire sulle questioni che li riguardano, e il provvedimento che definisce il processo fa stato solo nei confronti delle parti e loro aventi causa, mentre solo in alcuni casi eccezionali (ne sono un esempio, nella materia del lavoro, le due condanne in favore di terzo previste dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori in materia di licenziamenti illegittimi) è ammessa una pronuncia in favore di terzo.
In caso di omissione contributiva, dunque, il lavoratore può chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell'ente previdenziale solo se quest'ultimo sia parte nel medesimo giudizio, restando esclusa in difetto l'ammissibilità di tale pronuncia (che sarebbe una condanna nei confronti di terzo, non ammessa nel nostro ordinamento in difetto di espressa previsione).
30 giugno 2018