Diritto al trattamento pensionistico in favore dei figli superstiti studenti e attività lavorative saltuarie.
Corte di Cassazione, sentenza 21707 del 2016.
La Corte d'appello di Milano ha confermato l’accoglimento della domanda di un cittadino volta ad ottenere la pensione indiretta ai sensi dell’articolo 13 del Regio Decreto 636/1939 a seguito del decesso della propria madre fino al compimento del 26anno di età.
La Corte di Appello ha esposto, con riferimento al requisito della vivenza a carico richiesto dall’articolo 22 della Legge 903/1965, che era pacifica la circostanza della convivenza dell’interessato con la propria madre e dell'inesistenza di altri soggetti che provvedessero ai bisogni della famiglia e che l'apporto economico della madre avesse carattere prevalente e decisivo per il mantenimento del figlio iscritto ad un corso universitario.
Con riferimento all'ulteriore requisito della mancata prestazione di lavoro retribuito la Corte di Appello ha rilevato l'impegno lavorativo dell’interessato si era ridotto a 18 settimanali prestate per tre giorni percependo una retribuzione di circa euro 500,00 netti. La percezione di un modesto reddito non era preclusiva alla prevalente qualifica di studente. Il mancato riconoscimento della pensione indiretta avrebbe pregiudicato il diritto allo studio.
L’INPS ha proposto ricorso per cassazione respinto dalla Suprema Corte.
La disciplina delle prestazioni ai superstiti, riconosce, tra l'altro, per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito il diritto alla percezione della pensione indiretta nel limite di età di 21 anni, qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26 anno di età, qualora frequentino l'università.
Costituisce un primo requisito per avere diritto alla pensione indiretta che i figli di età superiore ai diciotto anni (studenti o inabili), i genitori, i fratelli e le sorelle siano a carico del lavoratore alla data del decesso. Il requisito non è richiesto per il coniuge, mentre è presunto per i figli minori.
Il requisito della vivenza a carico, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza, nè con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, deve essere considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva in via continuativa e in misura quanto meno prevalente al mantenimento del figlio inabile.
Come rilevato dalla Corte Costituzione, il riferimento normativo alla prestazione di un indistinto lavoro retribuito, quale causa di esclusione della quota di pensione, non può riguardare attività lavorative precarie, saltuarie e con reddito assai basso, ma solo le normali prestazioni durature e con adeguata retribuzione. Pertanto, nel caso in cui svolga una attività di modesto rilievo, per la quale percepisca una remunerazione esigua, l'orfano non perde la sua prevalente qualifica di studente; sicchè la totale eliminazione o anche la semplice decurtazione si risolverebbe in una sostanziale lesione del diritto allo studio.
La percezione di un piccolo reddito per attività lavorativa, pur venendo a migliorare la situazione economica dell'orfano, non gli fa perdere la sua prevalente qualifica di studente con conseguente diritto a mantenere la prestazione pensionistica al fine di escludere ogni lesione del diritto agli studi.
Il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti si collega, infatti, all'impossibilità dell'orfano studente di procurarsi un reddito in conseguenza della dedizione agli studi: pertanto, la prestazione di un lavoro retribuito come motivo di esclusione della quota di pensione non può riguardare attività lavorative precarie, saltuarie e con reddito minimo.
31 agosto 2020