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Dirigente medico ed esposizione a radiazioni ionizzanti ed a gas anestetici.

Corte di Cassazione, sentenza 30807 del 2018.

Un dirigente medico in servizio presso l'unità operativa di chirurgia pediatrica dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Ancona aveva convenuto in giudizio l'Azienda Ospedaliera chiedendo la condanna al risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale derivati dall'esposizione a radiazioni ionizzanti ed a gas anestetici in concentrazione superiore alla norma.

Il Tribunale di Ancona, prima, e la Corte di Appello, dopo, respingevano la richiesta.

La Corte di Appello riteneva doversi escludere che la prestazione fosse stata resa in ambienti insalubri, perché il lavoratore, pur essendo professionalmente adeguato ed attendibile, non aveva sollecitato alcun intervento da parte dell'azienda ed aveva agito in giudizio a distanza di anni per ottenere il risarcimento di un danno che il consulente tecnico d'ufficio aveva ritenuto non riferibile al preteso superamento della soglia di pericolo.

Il dirigente medico proponeva ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha ritenuto errata la valorizzazione da parte della Corte di Appello, per escludere la colpa dell'Azienda Ospedaliera, della circostanza che l’interessato avesse omesso di segnalare tempestivamente l'insalubrità dell'ambiente di lavoro e di sollecitare interventi e misure.

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali sono dirette a tutelare il lavoratore anche nell'ipotesi in cui l'evento lesivo si verifichi per disattenzione, per negligenza, per imperizia o imprudenza del lavoratore stesso, sicché, qualora la condotta datoriale violi norme antinfortunistiche o misure di prevenzione, la responsabilità del datore può essere esclusa solo da un comportamento abnorme, anomalo ed imprevedibile, che sia autosufficiente nella determinazione dell'evento e che, in quanto tale, interrompa il nesso causale fra l'omissione ed il fatto lesivo.

La salute del lavoratore costituisce un bene di rilevanza costituzionale che impone a chi si avvale della prestazione lavorativa di anteporre al proprio interesse imprenditoriale la sicurezza di chi tale prestazione esegua. Ne discende che, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro per la tecnopatia contratta o per l'infortunio subito dal dipendente, grava su quest'ultimo l'onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro, della malattia e del nesso causale tra la nocività dell'ambiente di lavoro e l'evento dannoso, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all'attività svolta nonché di aver adottato tutte le misure che, in considerazione della peculiarità dell'attività e tenuto conto dello stato della tecnica, siano necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore, vigilando altresì sulla loro osservanza.

Non può valere ad escludere la colpa del datore di lavoro la sola circostanza che il dipendente, seppure professionalmente adeguato ed attendibile abbia omesso di reagire all'inadempimento datoriale, ossia di segnalare il mancato rispetto delle norme poste a tutela della sua sicurezza.

La Corte di Cassazione ha, dunque, accolto il ricorso avverso il rigetto della domanda di risarcimento dei danni provocati dall'esposizione a radiazioni ionizzanti.

25 febbraio 2019

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