Diffamazione e scriminante dell\'esercizio della critica sindacale.
Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 17784 del 2022.
Con riguardo al bene giuridico tutelato dall'art. 595 del Codice penale (diffamazione), esso è individuato nell'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società) di ciascuna persona. L'evento del reato di diffamazione è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino. Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell'espressione offensiva.
La vicenda esaminata attiene alle parole utilizzate dall'imputato su un blog per commentare la condotta datoriale in occasione di una protesta sindacale organizzata dagli operai di una cooperativa per motivi collegati al recesso dal contratto di appalto della azienda di cui la persona offesa era amministratore delegato. Con un breve articolo l’imputato aveva informato i lettori dello sciopero in corso dovuto a rivendicazioni salariali, il cui linguaggio era stato commentato dall’imputato; ne era seguito un botta e risposta tra i due, nel corso del quale ciascuno aveva espresso le proprie opinioni sullo sciopero, sulle relative motivazioni e sulla legittimità del picchetto e dello sciopero.
Nell’articolo in rilievo si descriveva “l'arrogante padroncino (…) che ha impedito agli scioperanti di entrare”. Nello stesso articolo l’imputato si riferisce alla persona offesa con la frase "dall'alto della sua arroganza di razzista ignorante" e l'autore proseguiva con le frasi: "basta dare un'occhiata alla pagina Facebook (…) per capire che razza di individuo sia. Piena di immondizia razzista contro gli immigrati (...) di luoghi comuni al bar di periferia, di sottocultura da letamaio".
L'imputato è si è assunto la paternità degli articoli, che aveva scritto di proprio pugno, e ha spiegato che il blog era la voce del proprio gruppo di militanti, visitato mediamente da una cinquantina di lettori, con vasti interessi sul piano tecnico/culturale.
Il diritto di critica si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero e può essere evocato quale scriminante, rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva.
I limiti sono rinvenibili, nella difesa dei diritti inviolabili, onde non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione, né trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico. A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione. Il giudizio valutativo è diverso dal fatto da cui trae spunto e non può pretendersi che sia obiettivo. La libertà di esprimere giudizi critici trova il solo limite nella esistenza di un sufficiente riscontro fattuale, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata. La critica, a differenza della cronaca, concretizzandosi nella manifestazione di un'opinione meramente soggettiva (di un giudizio valutativo), non può pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica. Il giudizio critico è necessariamente influenzato dal filtro personale con il quale viene percepito il fatto posto a suo fondamento; esso è, per sua natura, parziale, ideologicamente orientato e teso ad evidenziare proprio quegli aspetti o quelle concezioni del soggetto criticato che si reputano deplorevoli e che si intende stigmatizzare.
Quanto al requisito della continenza, essa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia: essa si riferisce, dunque, alla quantità e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilità/bisogno sociale di esso. La continenza formale attiene, invece, al modo con cui il racconto sul fatto è reso o il giudizio critico esternato, e cioè alla qualità della manifestazione: essa postula, quindi, una forma espositiva proporzionata, corretta in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere. Le modalità espressive attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero postulano una forma espositiva corretta della critica e che non trasmodino nella immotivata aggressione dell'altrui reputazione. Tuttavia, essa non è incompatibile con l'uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. Al fine di valutare il rispetto del canone della continenza, occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio - temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere. La diversità dei contesti nei quali si svolge la critica, così come la differente responsabilità e natura della funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono giustificare attacchi anche violenti, se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi.
Nel caso esaminato, le espressioni sono state pubblicate in un articolo, dal titolo "Una giornata al picchetto", contenente il resoconto delle manifestazioni sindacali iniziate proprio quel giorno, con una di protesta per la situazione di sfruttamento subito dai dipendenti, molti dei quali immigrati. Le invettive nei confronti del datore di lavoro, pur astrattamente offensive, tuttavia, risultano pienamente conferenti all'oggetto della controversia, la situazione di sfruttamento dei lavoratori denunciata a livello sindacale, e poi riconosciuta a livello giudiziale, e, proprio perché si inseriscono appieno nel contesto di aspra critica sindacale, in quanto tendenti a stigmatizzare, con toni conflittuali, gli atteggiamenti e la complessiva condotta del datore di lavoro, non prendono di mira la persona. Il tono e le parole sono taglienti, sferzanti, perché esprimono un totale dissenso ideologico, ma non possono essere qualificati come inutilmente umilianti, né ingiustificatamente aggressivi, apparendo, al contrario, funzionali alla esplicita finalità di disapprovazione che si voleva esprimere, e perciò collocandosi senza dubbio nel perimetro della continenza espressiva.
La connotazione politica della critica, in primo luogo perché egli scrive su un blog di chiaro orientamento politico, ma anche perché instaura una chiara correlazione ideologica tra le idee razziste espresse, nei confronti degli immigrati, dal datore, sul proprio profilo Facebook, e le posizioni dallo stesso assunte sul piano sindacale nei rapporti con i lavoratori. Il parallelismo a cui ha dato luogo l'autore è chiaro: da una persona portatrice di idee discriminatorie nei confronti degli immigrati non ci si può aspettare altro che analoga "sottocultura da letamaio" nella gestione dei rapporti con la classe operaria, peraltro, composta in buona parte proprio da immigrati. In tale ottica, di critica sindacale e politica, deve essere letta anche quest'ultima espressione, che è apertamente riferita alle idee politiche dell’amministratore, non certo alla sua persona.
Non viene in rilievo una denigrazione della persona in quanto tale, né una offesa rivolta, senza ragione, alla sfera privata, non coinvolta dall'ambito di pubblica rilevanza della notizia, mediante l'utilizzo di non pertinenti, trattandosi, piuttosto, di una mirata, quanto oggettiva, contestazione delle posizioni ideologiche manifestate attraverso i propri profili social dalla persona offesa. Le opinioni espresse nell'articolo contengono una manifesta critica dell'atteggiamento politico del datore, e sono espresse con un linguaggio niente affatto incontinente.
È ravvisabile, allora, l'esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, che esclude, in concreto, l'offensività della condotta. La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto che il fatto non costituisce reato.
1 giugno 2023