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Denuncia del dipendente per accuse rivelatesi infondate e licenziamento.

Corte di Cassazione, sentenza 22375 del 2017.

La Corte di Appello di Bologna respingeva il ricorso proposto una lavoratrice nei confronti di una società volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa. Alla lavoratrice era stato contestato di avere presentato una denuncia querela nei confronti del legale rappresentante della società datrice di lavoro, accusandolo di avere commesso in suo danno diversi reati, tra cui quelli di maltrattamenti, ciò nonostante le accuse non fossero veritiere.

La Corte di Cassazione, investita della controversia, ha escluso che la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti nell'azienda possa integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, a condizione che non emerga il carattere calunnioso della denuncia medesima, che richiede la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato e, quindi, la volontà di accusare il datore di lavoro di fatti mai accaduti o dallo stesso non commessi e che il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti.

E' stato escluso che l’obbligo di fedeltà di cui all'articolo 2105 del codice civile possa essere esteso sino a imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di fatti illeciti che egli ritenga essere stati consumati all'interno dell'azienda, giacché in tal caso si correrebbe il rischio di scivolare verso il riconoscimento di una sorta di dovere di omertà che non può trovare cittadinanza nel nostro ordinamento.

Lo Stato di diritto attribuisce valore civico e sociale all'iniziativa del privato che solleciti l'intervento dell'autorità giudiziaria di fronte alla violazione della legge penale, e, sebbene ritiene doverosa detta iniziativa solo nei casi in cui vengono in rilievo delitti di particolare gravità, guarda con favore la collaborazione prestata dal cittadino, in quanto finalizzata alla realizzazione dell'interesse pubblico alla repressione dei fatti illeciti.

L'esercizio del potere di denuncia non può essere fonte di responsabilità, se non qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza della insussistenza dell'illecito o della estraneità allo stesso dell'incolpato. La esenzione da responsabilità, anche nei casi di colpa grave si giustifica considerando che la collaborazione del cittadino, che risponde ad un interesse pubblico superiore, verrebbe significativamente scoraggiata ove quest'ultimo potesse essere chiamato a rispondere delle conseguenze pregiudizievoli prodottesi a seguito di denunce che, sebbene inesatte o infondate, siano state presentate senza alcun intento calunnioso.

Proprio la presenza e la valorizzazione di interessi pubblici superiori porta ad escludere che nell'ambito del rapporto di lavoro la sola denuncia all'autorità giudiziaria di fatti astrattamente integranti ipotesi di reato, possa essere fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, fatta eccezione per l'ipotesi in cui l'iniziativa sia stata strumentalmente presa nella consapevolezza della insussistenza del fatto o della assenza di responsabilità del datore. Perché possa sorgere la responsabilità disciplinare non basta, infatti, che la denuncia si riveli infondata e che il procedimento penale venga definito con la archiviazione o con la sentenza di assoluzione, trattandosi di circostanze non sufficienti a dimostrare il carattere calunnioso della denuncia stessa.

Secondo la Cassazione, la Corte di Appello ha errato nel formulare il giudizio di gravità della condotta addebitata alla lavoratrice e di proporzionalità della sanzione espulsiva, perché ha tenuto tenuto conto del solo fatto che le accuse si erano rivelate indimostrate, perché ha omesso di accertare e di valutare, nella prospettiva della consapevolezza della non veridicità delle accuse, gli aspetti concreti della vicenda, l'eventuale deterioramento delle relazioni instauratesi, nel tempo precedente la presentazione della denuncia, tra la lavoratrice e la datrice di lavoro (e per essa i suoi organi), il contesto fattuale nel quale era maturata la decisione della lavoratrice di rivolgersi al giudice penale, il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni della lavoratrice e l'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo.

04 ottobre 2017

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