Costituzionalità dell’applicazione retroattiva del più rigoroso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine.
Corte Costituzionale, sentenza n. 155 del 2014.
La Corte Costituzionale ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’articolo 32 della legge 183/2010 (Collegato Lavoro) con cui sono stati estesi i termini di decadenza di impugnativa previsto per i licenziamenti anche ai contratti di lavoro a tempo determinato
La legge prevede l’applicazione del termine di decadenza di impugnativa previsto per i licenziamenti anche ai contratti di lavoro a tempo determinato. Il nuovo regime introdotto dalla legge 183/2010 si applica a tutti i contratti a termine: a quelli già scaduti alla data di entrata in vigore della legge, a quelli in corso di esecuzione e a quelli instaurati successivamente.
Il Tribunale di Roma aveva sollevato dubbi di costituzionalità della norma nella parte in cui prevede l’applicazione del termine di decadenza di sessanta giorni per l'impugnativa anche ai contratti di lavoro a tempo determinato già conclusi alla data di entrata in vigore della legge e con decorrenza dalla data stessa. Con il ricorso alla Corte Costituzionale era stata invocata la violazione del principio di parità di trattamento perché il legislatore non ha previsto in casi ritenuti analoghi che il termine di decadenza di sessanta giorni si applicasse anche ai rapporti già conclusi o agli atti già compiuti alla data di entrata in vigore della legge. La legge dispone che soltanto per i contratti di lavoro a tempo determinato il termine di decadenza si applichi anche ai rapporti già conclusi alla data di entrata in vigore della legge mentre non si applica alle fattispecie già concluse o comunque verificatesi alla di pubblicazione della legge in altri casi quali, ad esempio, il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Era stata rilevata anche una disparità di trattamento dal punto di vista datoriale, perché si sarebbero tutelati in maniera differente l’interesse dei datori di lavoro che avessero stipulato contratti a tempo determinato di conoscere in tempi rapidi e certi se e quanti dei propri ex dipendenti avessero intenzione di contestarne in giudizio la legittimità, rispetto all’analogo interesse di quegli imprenditori che avessero invece stipulato contratti di collaborazione coordinata e continuativa di conoscere con altrettanta rapidità e certezza l’esistenza di analoghe azioni da parte dei propri ex collaboratori e dipendenti.
Secondo la Corte Costituzione, però, la ratio legittimità di tale disciplina si rinviene in una pluralità di esigenze: quella di garantire la speditezza dei processi mediante l’introduzione di termini di decadenza in precedenza non previsti; quella di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dalla scadenza del termine apposto al contratto; quella di pervenire ad una riduzione del contenzioso giudiziario nella materia in questione.
La Corte Costituzione ha ritenuto che sussistono profili concreti che impongono di ritenere ragionevoli le scelte compiute dal legislatore.
L’applicazione retroattiva del più rigoroso e gravoso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi prima della entrata in vigore della legge 183/2010, lasciando immutato per il passato il più favorevole regime previsto per le altre ipotesi, non si pone, secondo la Corte, in contrasto con il principio di ragionevolezza.
La violazione del principio di uguaglianza sussisterebbe solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili.
Le fattispecie poste a confronto sono da considerare diverse, secondo la Corte, e non possono essere rese omogenee dalla previsione di un identico termine di decadenza, il quale ha come finalità l’accelerazione dei tempi del processo.
Le differenti conseguenze derivanti dalla applicazione della norma con riferimento alla posizione dei lavoratori e dei datori di lavoro, secondo la Corte Costituzionale, non sarebbe in contrasto con il principio di parità di trattamento.
16/06/2014