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Conguaglio somme per malattia, assegni familiari e cassa integrazione non pagate ai dipendenti: reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Corte di Cassazione, sentenza 15989 del 2019.

La Suprema Corte ha esaminato la vicenda di un datore di lavoro che, pur avendo omesso di corrispondere le somme dovute ad alcuni dipendenti a titolo di indennità di malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ha tuttavia portato le relative somme a conguaglio, negli appositi modelli DM10 con quanto da lui dovuto all'istituto previdenziale per contributi previdenziali e assistenziali.

La Suprema Corte ha ritenuto che la condotta vada inquadrata nella fattispecie criminosa di cui all'articolo 316 ter del codice penale: indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. La disposizione, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni, l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sè o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee.

L'articolo 316 ter codice penale configura un reato di pericolo, e non di danno. Tale reato si distingue da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, sia perché la condotta non ha natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere costituisce fatto strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, sia per l'assenza della induzione in errore.

L’articolo 316 ter assicura una tutela aggiuntiva e complementare, coprendo gli eventuali margini di scostamento, per difetto, del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode.

L'introduzione nel codice penale dell'articolo 316 ter ha risposto all'intento di estendere la punibilità a condotte decettive (in danno di enti pubblici o comunitari) non incluse nell'ambito operativo della fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Vanno inquadrate nella fattispecie di cui all'articolo 316 ter le condotte alle quali non consegua un'induzione in errore o un danno per l'ente erogatore.

L’articolo 316 ter punisce condotte ingannevoli non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l'erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale attestazione del richiedente.

Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'articolo 316 ter c.p., nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l'elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell'esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità.

Il delitto di cui all'articolo 316 ter del codice penale prescinde sia dall'esistenza di artifici o raggiri, sia dalla induzione in errore, sia dall'esistenza di un danno patrimoniale patito dalla persona offesa, elementi tutti che caratterizzano il delitto di truffa.

Ciò che è richiesto dalla fattispecie criminosa di cui all'articolo 316 ter è l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere (ovvero l'omissione di informazioni dovute) da cui derivi il conseguimento indebito di erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, da cui derivi il conseguimento di erogazioni cui non si ha diritto.

Tali erogazioni, poi, possono consistere indifferentemente o nell'ottenimento di una somma di danaro oppure nell'esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta.

Nella fattispecie criminosa di cui all'articolo 316 ter codice penale deve ritenersi inquadrabile la condotta del datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall'INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all'istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni.

L'erogazione che costituisce elemento costitutivo del delitto di cui all'articolo 316 ter può consistere semplicemente nell'esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, e non deve necessariamente consistere nell'ottenimento di una somma di danaro.

Il reato si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all'INPS (sulla base dei dati indicati sui modelli DM10) i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così, tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto, a percepire indebitamente l'erogazione dell'ente pubblico.

27 dicembre 2019

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