Assegni per il nucleo familiare e valutazione dell'inabilità lavorativa.
Corte di Cassazione, sentenza 19409 del 2020.
La Corte di Appello di Messina rigettava la domanda proposta da una pensionata volta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto agli assegni per il nucleo familiare quale coniuge superstite secondo l’articolo 2 del Decreto legge 69/1988.
La Corte di Appello recepiva le conclusioni del CTU, secondo le quali la donna non si trovava in situazione di inabilità al lavoro, ma solo in condizioni di ridotta capacità lavorativa.
Per la cassazione della sentenza la pensionata ha proposto ricorso, accolto dalla Suprema Corte.
L'assegno per il nucleo familiare, disciplinato dal Decreto legge 69/1988, è finalizzato ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che mostrano di essere effettivamente bisognose sul piano economico ed è attribuito in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, tenendo altresì conto dell'eventuale esistenza di soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali e che pertanto si trovino nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro.
L'indagare se un soggetto si trovi, secondo il testo della norma a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro richiede l'accertamento della concreta possibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un'attività lavorativa, anche estranea alle attitudini del soggetto, ma comunque rispettosa della dignità della persona, che sia utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le sue primarie esigenze di vita.
L'accertamento del requisito dell'inabilità presuppone quindi un'indagine accurata relativa non solo alle condizioni cliniche del soggetto, tali da renderlo direttamente collocabile sul mercato del lavoro, ma anche alle condizioni dell'ambiente economico e sociale con il quale egli interagisce e nel quale dovrebbe reimpiegarsi.
Nel caso affrontato, tale accertamento, invece, non è stato compiuto dalla Corte di Appello, che ha limitato l'indagine alle residue capacità lavorative della pensionata, ritenendo sufficiente ad escludere il richiesto beneficio il fatto che ella avrebbe potuto svolgere attività che non richiedessero sforzi fisici prolungati, senza indagare sulla componente socio-ambientale relativa all'effettiva collocabilità sul mercato del lavoro delle residue capacità lavorative.
28 settembre 2020