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Annullato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non sostenuto da nesso eziologico con la soppressione del posto di lavoro. Vittoria in Tribunale per lo Studio Carozza.

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, decreto 14413 del 2020.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha accolto il ricorso di una lavoratrice avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla società datrice di lavoro che gestisce un centro diagnostico. L’interessata ha adito il Tribunale al fine di accertare e dichiarare l'annullabilità e illegittimità del licenziamento per insussistenza di giustificato motivo oggettivo e violazione dell’obbligo di repechage.

La lavoratrice, assunta con qualifica di infermiera professionale, ma addetta esclusivamente all’accettazione e alla prenotazione delle visite, ha censurato che sarebbe insussistente il giustificato motivo oggettivo addotto, poiché è irrilevante la necessità affermata dalle società di ridurre il numero degli infermieri, essendo ella addetta unicamente all’accettazione. La lavoratrice ha anche evidenziato che il proprio ruolo è stato prontamente rimpiazzato.

La società ha eccepito che, all’epoca dei fatti, versava in condizioni di crisi finanziaria e che la collaboratrice non poteva essere utilmente ricollocata in azienda, sottolineando come la postazione lavorativa fosse stata soppressa.

Analizzando la comunicazione con cui la società ha intimato il licenziamento, il Tribunale ha ricondotto il recesso nell’alveo del giustificato motivo oggettivo adottato per ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro. Ai fini della verifica della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, l’articolo 3 della legge 604/1966 richiede che la posizione di lavoro del destinatario del provvedimento datoriale risulti venuta meno per effetto della soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto cui il dipendente era stato addetto oppure che la soppressione del posto di lavoro sia riferibile a scelte datoriali (non sindacabili in sede giudiziale quanto ai profili di congruità e opportunità) dirette a incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell'impresa senza che il datore debba necessariamente provare anche un andamento economico negativo dell'azienda oppure ancora che non sia possibile una diversa collocazione del dipendente all'interno dell'impresa ristrutturata o rimodulata nei suoi aspetti tecnico-organizzativi.

Pertanto, sebbene la decisione di ridurre la dimensione occupazionale dell’impresa possa essere fondata anche su finalità che prescindono da situazioni sfavorevoli, è necessario che la riorganizzazione aziendale sia effettiva, che si ricolleghi causalmente alla ragione dichiarata dall’imprenditore e che il licenziamento si ponga in termini di riferibilità e di coerenza rispetto alla ristrutturazione.

Nel caso affrontato, il Tribunale ha osservato che il datore di lavoro non ha fornito la prova adeguata del nesso eziologico tra l’assorbimento delle mansioni attuato per ridurre i costi del personale alla base del processo di riorganizzazione e la necessità di sopprimere esattamente la posizione lavorativa. Malgrado l’interessata sia stata licenziata in ragione della scelta, insindacabile nel merito sul piano giuridico, di sopprimere il posto di lavoro dalla stessa ricoperto, tale eliminazione non è risultata collegabile alla crisi produttiva e al processo di riorganizzazione aziendale che alla stessa si sono accompagnati.

Il Tribunale, quindi, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento.

12 ottobre 2020

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