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Abuso d'ufficio per il sindaco che agisce in modo ritorsivo e discriminatorio contro un dipendente.

Corte di Cassazione, sentenza 22871 del 2019.

La Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza con cui il Sindaco di un Comune è stato riconosciuto colpevole del delitto di abuso di ufficio, in relazione al mancato rinnovo per fini ritorsivi e discriminatori ad un dipendente dell'incarico di responsabile dell'Area Vigilanza del Comune, da cui era derivato al lavoratore l'ingiusto danno connesso alla mancata corresponsione di indennità associate alla posizione e ad un sostanziale demansionamento.

La Corte di Cassazione ha confermato l’accertamento del delitto.

La contestazione al Sindaco fa riferimento al disposto dell'articolo 97 della Costituzione ed alle legge 241/1990 ed intendeva fa leva sul carattere discriminatorio e ritorsivo della condotta in danno del dipendente, evidenziando l'utilizzo di una motivazione apparente, la nomina di altro soggetto privo di diploma di laurea, l’assenza di una procedura comparativa, il contributo fornito dal dipendente per l'accertamento della responsabilità contabile del Sindaco e della Giunta ed il fatto che il lavoratore interessato aveva contravvenuto alle espresse richieste del Sindaco di non dar corso ad iniziative per presunti illeciti commessi da agenti della Polizia locale.

Il delitto di abuso di ufficio fa riferimento ad una condotta che non è genericamente connotata da abuso, ma deve essere caratterizzata da violazione di norme di legge o di regolamento ovvero dall'omessa astensione.

Il riferimento alla legge include le fonti sovraordinate, cioè la Costituzione, ove in grado di definire in modo preciso i limiti dell'azione amministrativa.

Viene in evidenza l'articolo 97 della Costituzione, da valutare in sinergia con l'articolo 54 della Costituzione: le funzioni pubbliche devono essere esercitate con disciplina ed onore ed i pubblici uffici devono essere organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Siffatte direttive contengono un immediato risvolto applicativo, imponendo da un lato il rispetto della causa di attribuzione del potere, in modo che lo stesso non sia esercitato al di fuori dei suoi presupposti, e dall'altro l'imparzialità dell'azione, la quale non deve essere contrassegnata da profili di discriminazione e ingiustizia manifesta.

E’ stato ravvisato il delitto di abuso di ufficio quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge.

Assume rilievo l'inosservanza del principio costituzionale dell'imparzialità, che preclude ingiustificate preferenze o favoritismi ovvero intenzionali vessazioni o discriminazioni.

Il reato di abuso di ufficio ricomprende la violazione di quei canoni costituzionali che costituiscono la base stessa dell'esercizio dei pubblici uffici.

Nel caso affrontato è stata ravvisata l'illiceità della condotta proprio in ragione del suo contenuto discriminatorio e ritorsivo, contrastante con una precisa direttiva, sottostante all'azione di qualsiasi pubblico ufficiale, implicante l'osservanza della causa del potere assegnato e il rifiuto di qualsivoglia pregiudiziale discriminazione.

L'apertura del procedimento per il mancato rinnovo al lavoratore dell'incarico di Responsabile dell'Area Vigilanza era stato caratterizzato da motivazioni del tutto pretestuose, prive di riscontro e contraddittorie. Il dipendente si era per contro distinto nel propiziare l'accertamento della responsabilità erariale del Sindaco e della Giunta e nel contravvenire ai pressanti suggerimenti del Sindaco di non dar corso ad iniziative riguardanti presunti illeciti. Al momento di procedere alla nomina del nuovo Responsabile dell'Area Sicurezza, il Sindaco aveva del tutto omesso di procedere ad una valutazione comparativa, assegnando l'incarico ad altro soggetto, appena transitato in mobilità nel ruolo del Comune, ma sprovvisto del diploma di laurea, e ponendo il lavoratore interessato in posizione addirittura subordinata a colui che era stato il suo vice. La richiesta di assegnazione di un'indennità di coordinamento o di maggiorazione dell'indennità di posizione era stata negata senza una sostanziale motivazione, dopo che il Sindaco, con una mail, aveva mostrato di correlare l'accoglimento della richiesta al modo in cui il lavoratore avrebbe gestito la questione riguardante gli illeciti addebitati all’altro agente.

Tali elementi sono stati posti a fondamento del carattere ritorsivo e discriminatorio del trattamento riservato al dipendente.

La mancata adozione di un'adeguata valutazione comparativa costituisce dato idoneo a rafforzare il giudizio in ordine al contenuto discriminatorio di tale determinazione, così come la sostanziale assenza di una specifica motivazione del mancato riconoscimento dell'indennità.

La condotta del Sindaco si è proiettata sul lavoratore, determinando l'intenzionale pregiudizio della sua posizione, valutabile in termini professionali e patrimoniali, in quanto ha compromesso la possibilità di continuare a svolgere le medesime mansioni, ha determinato il sostanziale demansionamento, con soggezione a soggetto precedentemente a lui sottoposto e ha significato il mancato riconoscimento dell'indennità prevista.

7 giugno 2019

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